Il Nobel per la Medicina allo scopritore dei meccanismi di riciclo della cellula

Il Nobel per la Medicina allo scopritore dei meccanismi di riciclo della cellula

Il nuovo premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia è stato assegnato a Yoshinori Ohsumi, il biologo giapponese che ha dedicato i suoi studi all’autofagia, ovvero al processo con cui le cellule possono riciclare parte del loro stesso contenuto. Questo meccanismo è di fondamentale importanza per la risposta dell’organismo in situazioni potenzialmente critiche, come la fame, la presenza di infezioni e di altri tipi di stress cellulare. Ed è una delle funzioni di base di tutte le cellule viventi.

Il biologo cellulare Ohsumi è nato 1945 in Giappone, a Fukuoka. Ha conseguito un dottorato di ricerca presso l’Università di Tokyo nel 1974. Dopo aver trascorso tre anni negli Stati Uniti, nella Rockefeller University di New York, è tornato nell’Università di Tokyo, dove, nel 1988, ha istituito il suo gruppo di ricerca. Dal 2009 è professore presso il Tokyo Institute of Technology.

Ohsumi ha ricevuto il Nobel per le ricerche fatte su un organismo molto semplice, come il lievito comunemente usato per fare il pane. Osservando il comportamento di questo microrganismo è riuscito successivamente a dimostrare che lo stesso meccanismo che permetteva al lievito di liberarsi delle sostanze di scarto era presente in tutte le altre cellule, comprese quelle umane.

Si iniziò a parlare di autofagia negli anni ’60, quando gli scienziati notarono che una cellula è in grado di distruggere i propri contenuti racchiudendoli in una sorta di sacca, costituita da una membrana, che viene poi inviata ai lisosomi, organuli che si occupano dello smaltimento dei materiali cellulari. Tuttavia, la conoscenza dell’autofagia è rimasta per decenni molto superficiale: non si sapeva come questo meccanismo funzionasse e quale
fosse il suo ruolo preciso. Si deve proprio a Ohsumi, all’inzio degli anni ’90, la scoperta dei geni dell’autofagia. In pratica, il biologo giapponese ha portato a definire un nuovo paradigma per la nostra comprensione di come le cellule riutilizzano il loro contenuto. E’ migliorata, inoltre, la comprensione del ruolo svolto dall’autofagia in diversi processi fisiologici, come il modo in cui ci si adatta al digiuno o le risposte alle infezioni. Dopo un’infezione, ad esempio, l’autofagia permette di eliminare i batteri e i virus che avevano invaso l’organismo. Inoltre, oggi sappiamo che le cellule usano l’autofagia per liberarsi delle proteine e degli organelli danneggiati, attraverso un meccanismo di controllo della qualità che è essenziale per controbilanciare gli effetti dell’invecchiamento.

Lo studio delle mutazioni dei geni dell’autofagia possono portare alla comprensione di patologie molto diffuse, come il cancro, il diabete e i disturbi neurologici (Parkinson, Alzheimer, Corea di Huntighton). Dalla loro comprensione dipende infatti lo sviluppo di nuove terapie per trattare queste patologie. “Gli studi di Yoshinori Ohsumi hanno aperto la strada alla comprensione dell’autofagia e della sua ‘doppia faccia‘, quando cioè questo processo di riciclo cellulare può contrastare o favorire alcune malattie”, spiega Mario Chiariello dell’Istituto di Fisiologia Clinica del Consiglio nazionale delle ricerche. “La scoperta dei primi geni essenziali all’autofagia – continua – ci ha poi permesso di capire quanto questo meccanismo sia cruciale in alcune malattie, come il cancro, il diabete e il Parkinson“. Il ruolo dell’autofagia in queste malattie puo’ essere molto diverso. Secondo l’esperto, in alcuni casi l’autofagia può svolgere il ruolo di “alleato” o “nemico”. “Da un lato – spiega Chiariello – l’autofagia consente di contrastare l’accumulo di materiale in eccesso o danneggiato che può portare allo sviluppo di malattie neurodegenerative come il Parkinson; dall’altro lato può favorire i meccanismi di resistenza dei tumori ai trattamenti: in questo caso l’autofagia altro non e’ che un sistema che permette alla cellula tumorale di resistere allo stress causato dai trattamenti”. La scoperta del ruolo dell’autofagia nei tumori ha già portato allo sviluppo di farmaci anti-cancro molto promettenti. “Ci sono trial clinici in corso – dice Chiariello – su farmaci che inibiscono l’autofagia che, in combinazione con altri trattamenti, si spera possa aiutare a sconfiggere la malattia”.
Gli studi del nuovo Nobel sono stati sviluppati ulteriormente nel nostro paese. “Gli scienziati italiani hanno esteso gli esperimenti di Ohsumi, contribuendo a isolare nuovi geni legati all’autofagia”, riferisce il genetista Giuseppe Novelli, rettore dell’Università Tor Vergata di Roma. “Francesco Cecconi dell’Università di Roma Tor Vergata, ad esempio, ha evidenziato il ruolo regolatorio della proteina Ambra 1 nell’autofagia“, sottolinea Novelli. Lo studio in questione è stato finanziato dall’Associazione italiana per la ricerca sul cancro (Airc) e ha aperto la strada a nuove strategie in grado di controllare l’autofagia delle nostre cellule in diverse patologie, tra cui il cancro