Ricreato in un chip 3D la complessità del fegato umano

Ricreato in un chip 3D la complessità del fegato umano

Nonostante sia poco più grande di una moneta, è la ricostruzione molto fedele di un fegato umano. A condensare la complessità di questo organo in un chip 3D è stato un gruppo di ricercatori dell’Università Campus Bio-Medico di Roma in uno studio pubblicato sulla rivista Plos One. Grazie allo sviluppo di questa particolare piattaforma di studio tridimensionale (3D), consistente in particolare in un chip microfluidico in cui coltivare cellule epatiche da sottoporre ad accumulo di lipidi, ora si ha un modello fisiopatologico il più possibile vicino a ciò che avviene nel fegato umano.
Questo consente di disporre di una sorta di ambiente simulato, molto più realistico dell’attuale tecnologia di coltura statica in vitro. Sulle tradizionali piastre di coltura a due dimensioni, infatti, la somministrazione di acidi grassi liberi provoca un abbassamento della vitalità cellulare di tipo acuto, mentre le strutture 3D in cui vengono coltivate le cellule nei chip consentono una loro sopravvivenza più elevata e un accumulo lipidico più moderato e graduale, come accade all’interno del nostro fegato. Questi nuovi micro-dispositivi, perciò, si sono rivelati particolarmente adatti a simulare una condizione cronica come quella della steatosi epatica non
alcolica nel fegato dell’essere umano, poiché consentono nel contempo sperimentazioni più lunghe, la riduzione delle variabili da valutare, un controllo migliore delle condizioni sperimentali e il contenimento dei costi: requisiti impossibili da ottenere con la sperimentazione animale.

Si è aperta quindi la strada all’individuazione di possibili biomarcatori per la diagnosi precoce e non invasiva della steatosi epatica, chiamata anche “fegato grasso”, mediante il prelievo ematico. Una possibilità inedita, che permetterebbe di somministrare terapie tempestive e mirate per la cura di una sindrome che può rappresentare un fattore predisponente di patologie epatiche più gravi, come il cancro. “Grazie al sistema tecnologico che abbiamo realizzato – spiega Alberto Rainer, ricercatore del Laboratorio di Ingegneria Tissutale dell’Università Campus Bio-Medico di Roma – potremo ora far partire uno studio sperimentale per l’individuazione dei segnali predittivi della patologia, ovvero di marcatori biologici che, in un futuro non lontano, saranno riconosciuti grazie a una semplice analisi del sangue. Questo porterebbe non solo alla diagnosi precoce, ma anche alla possibilità di stabilire una stadiazione accurata della steatosi epatica non alcolica”. Gli stessi biomarcatori ricavati grazie alla tecnologia “liver-on-a-chip” potrebbero rappresentare, inoltre, dei nuovi target terapeutici per lo sviluppo di farmaci innovativi.