Juno ce l’ha fatta. Ci sono voluti quasi 5 anni di viaggio e la bellezza di circa 3 miliardi di chilometri, ma ora la sonda della Nasa “JUpiter Near-polar Orbiter” è entrata nell’orbita di Giove. Il traguardo è stato tagliato ieri alle 5.53 ora italiana. Mai finora un veicolo è stato così vicino al pianeta più grande del Sistema Solare, che ora finalmente potrà essere studiato più da vicino, per così dire.
“È stata la cosa più difficile che la Nasa abbia mai fatto”, dice il responsabile scientifico della missione Scott Bolton. Ed è stata davvero un’impresa record, considerando sia le distanze che le incognite di
questa missione. La fase più delicata è stata quella mezz’ora o più in cui il motore principale di Juno ha frenato. Precisamente 35 minuti e 2 secondi, il tempo necessario per rallentare la folle corsa della sonda. Anche il più piccolo errore e Juno poteva mancare l’orbita, mandando in fumo anni di lavoro e diversi
miliardi di dollari. Juno ce l’ha fatta e nel quartier generale del Jet propulsion laboratory della Nasa, in California, è stato tirato un grosso sospiro di sollievo.
Juno è stata una scommessa fin dall’inizio. Larga 20 metri e alta 4,5, è il primo veicolo spaziale a energia solare impegnato in una missione così lontana dal Sole. E’ anche il primo veicolo spaziale a sorvolare i poli di Giove, esplorando i vortici che tormentano l’atmosfera del pianeta 300 volte più
massiccio della Terra. Le condizioni di Giove sono davvero estreme.
Ora per la sonda della Nasa inizia un intenso programma esplorativo: 20 mesi di intensa attività scientifica e raccolta dati da compiere in 37 orbite. All’inizio la sonda della Nasa girerà attorno a Giove con un’orbita di circa 53 giorni. A fine agosto tornerà al ‘perigiove’, il punto più vicino, per inserirsi
poi su un periodo più stabile di 14 giorni. Juno quindi scenderà al di sotto della coltre di nubi del pianeta, sì immergerà nella magnetosfera e nelle sue aurore polari. Con queste manovre la sonda potrà misurare l’abbondanza di acqua nell’atmosfera, studiare il movimento dei fluidi, mappare i campi gravitazionale e magnetico del pianeta e indagare sulla sua struttura interna.
Svelare cosa si nasconde sotto la superficie del pianeta gigante è l’obiettivo più ambizioso. Farlo è il compito dei 9 strumenti della sonda, due dei quali sono italiani. Il cuore scientifico è lo spettrometro Jiram (JovianInfraRedAuroral Mapper): oltre a catturare le immagini delle aurore polari, studierà gli strati superiori dell’atmosfera a caccia di metano, vapore acqueo, ammoniaca e fosfina. Finanziato dall’Agenzia spaziale italiana (Asi), è stato realizzato da Leonardo-Finmeccanica sotto la responsabilità scientifica dell’Istituto di astrofisica e planetologia spaziali dell’Istituto nazionale di astrofisica. Ottenere la prima mappa interna di Giove è l’obiettivo di KaT (Ka-Band Translator), progettato dall’Università Sapienza di Roma e realizzato dalla Thales Alenia Space Italia.
“Questa missione dimostra come la comunità scientifica italiana giochi un ruolo di primissima importanza, inoltre la partnership storica con la Nasa si è dimostrata una cruciale opportunità di crescita sia delle aziende che dei ricercatori italiani”, commenta Roberto Battiston, presidente dell’Asi.
A bordo di Juno c’è anche la targa con il ritratto e la firma di Galileo Galilei e il testo che descrive la scoperta delle lune di Giove. Questo omaggio al grande fisico italiano è accompagnato da tre minuscole statuine che raffigurano Galilei e le antiche divinità Giove e Giunone, realizzate dalla Lego.
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