E’ già da un po’ di tempo che circola il sospetto che l’Alzheimer possa essere collegato all’esposizione all’alluminio. Tuttavia, questa ipotesi è stata più volte confutata, vista la scarsità di prove. Troppo poche per accusare un metallo usato tantissimo in tutto il mondo, sia per cucinare che per conservare il cibo, di essere responsabile di una malattia oggi così diffusa e devastante.
Ora però Chris Exley, ricercatore della Keele University (Regno Unito), sostiene che la sua ultima ricerca conferma che l’alluminio può effettivamente svolgere un ruolo nel declino cognitivo. I risultati del suo lavoro sono stati
riportato su un sito di “medical-blogging”, chiamato The Hippocratic Post. “Per mezzo secolo o più c’è stato un forte legame tra l’esposizione dell’uomo alluminio e l’incidenza della malattia d’Alzheimer”, scrive Exley. “Tuttavia, senza una prova definitiva, non c’è ancora consenso nella comunità’ scientifica – ha continuato – sul ruolo di questa nota neurotossina in questa malattia cerebrale devastante. L’ultima ricerca del mio gruppo, pubblicata sul Journal of Trace Elements in Medicine and Biology, rende questo legame ancora più’ interessante”.
Per Exley i suoi risultati “sono inequivocabili” nel confermare il ruolo dell’alluminio in alcuni se non tutti i casi di Alzheimer. “Per lo meno – ha detto – questi nuovi risultati dovrebbero convincere tutti, anche quelli che hanno sostenuto fermamente che l’alluminio non ha alcun ruolo nella malattia”. Per il ricercatore britannico, l’alluminio non sarebbe certamente l’unico fattore, ma è convinto che sia importante e che debba essere seriamente preso in considerazione. “Sappiamo già che nei casi di morbo d’Alzheimer sporadico e in quelli a tarda insorgenza il contenuto di alluminio – ha detto Exley – è significativamente superiore rispetto ai controlli di pari età. Così le persone che sviluppano la malattia d’Alzheimer alla fine dei loro 60 anni d’età e pià accumulano anche maggiore alluminio nel loro tessuto cerebrale rispetto agli individui della stessa età senza la malattia“.
Secondo il ricercatore britannico, livelli ancora più elevati sono stati trovati nel cervello di individui con diagnosi di una forma ad esordio precoce della malattia d’Alzheimer sporadica, che hanno sperimentato insolitamente un’elevata esposizione all’alluminio attraverso l’ambiente o sul posto di lavoro. “Ora abbiamo mostrato che alcuni dei livelli più elevati di alluminio mai misurati nel tessuto cerebrale
umano si trovano proprio negli individui che sono morti con una diagnosi di Alzheimer familiare”, ha riferito Exley. “I livelli di alluminio nel tessuto cerebrale di persone con malattia di Alzheimer familiare sono simili a quelli registrati negli individui che sono morti a causa di una encefalopatia indotta dall’alluminio, mentre erano sottoposti a dialisi renale”, ha aggiunto.
Accanto ai dati quantitativi, Exley e il suo team avrebbero raccolto immagini
inequivocabili della presenza di alluminio nel tessuto cerebrale delle persone decedute per Alzheimer, grazie a un nuovo metodo di
microscopia a fluorescenza. Secondo i ricercatori, è possibile che la
predisposizione genetica all’Alzheimer predisporrebbe anche gli individui ad accumulare alluminio nel cervello in età molto giovane. “Dovremmo prendere tutte le precauzioni possibili per ridurre l’accumulo di alluminio nel nostro tessuto cerebrale attraverso le nostre attività quotidiane e dovremmo iniziare a farlo il più presto possibile nella nostra vita”, ha concluso Exley.
Commenti recenti