Sembra essere efficace un nuovo trattamento antitumorale basato sulla tecnica della cosiddetta terapia genica. A darne annuncio, attraverso una nota, la Kite Pharma, una biotech americana, che ha reso noti i risultati della sperimentazione dei trial di sperimentazione di uno dei suoi farmaci. In realtà, si tratta di una anticipazione in quanto la presentazione dei dati all’interno di un contesto scientifico e’ prevista per il prossimo mese di aprile a Washington, dove si terra’ il meeting annuale della American Association for Cancer Research.
Intanto le anticipazione sembrano fornire uno scenario davvero interessante. A distanza di sei mesi dalla terapia 36 pazienti su 101 hanno visto una remissione completa della malattia, mentre l’ottanta per cento di loro ha visto il cancro ridursi della meta’. ”Sono dati molto interessanti e assolutamente non inattesi”, spiega Chiara Bonini, Vice Direttore della Divisione di Immunologia, Trapianti e Malattie Infettive e capo unita’ Ematologia Sperimentale, IRCCS Ospedale San Raffaele e professore ordinario di Medicina e Chirurgia Universita’ Vita-Salute San Raffaele. La terapia genica in chiave antitumorale si sta avvicinando sempre piu’ velocemente al letto del paziente, come usa dire in gergo clinico.
“Questi farmaci – spiega Bonini – sono costituiti da cellule del nostro sistema immunitario (linfociti T) che vengono modificate geneticamente. In pratica viene modificato il linfocita che riesce a riconoscere le cellule tumorali e a distruggerle. Il recettore e’ conosciuto con la sigla Car ed e’ tipico di alcuni tipi particolari di tumori, come, per esempio, il linfoma non Hodgkin, alcune leucemie. Sono farmaci che sono in fase di sperimentazione clinica ormai da qualche anno e questi risultati cosi’ incoraggianti ci fanno pensare che la strada intrapresa sia quella giusta”. La terapia genica, piu’ che un farmaco vero e proprio, e’ in realta’ un processo che permette di usare il nostro stesso sistema immunitario per aggredire il tumore. “Nella maggior parte dei casi – spiega Bonini – si tratta di cellule che vengono prelevate dal paziente stesso e che poi, dopo essere state opportunamente modificate geneticamente, vengono re-iniettate nel paziente”. Prima di arrivare ad essere una terapia ampiamente diffusa devono pero’ essere superati diversi ostacoli. Uno di questi e’ la tossicita’ di questo tipo di processi. “Intanto occorre spiegare – dice Bonini, che collabora anche con la Fondazione Telethon – che in questi casi parliamo di tossicita’ relativa. Parliamo sempre di malattie che hanno un esito potenzialmente mortale in cui le terapie fin qui utilizzate hanno comunque un grande impatto in termini di tossicita’, per esempio la chemio o la radioterapia”. La strategia per superare questo tipo di problemi e’ quella di cercare di prevenirli, e di prevederli, cioe’ di riuscire a capire quando un farmaco sta diventando tossico, o meglio, nocivo per il paziente. “Una strategia su cui noi del San Raffaele stiamo lavorando – e’ quella di un farmaco che e’ in grado di attivare un gene suicida che e’ in grado di eliminare le cellule usate per la lotta antitumorale e di salvaguardare cosi’ la salute del paziente”. Anche in questo caso siamo un po’ piu’ avanti della semplice sperimentazione, dal momento che proprio nell’autunno scorso, l’Emea, l’Agenzia europea del farmaco, ha dato la market authorization, il via libera commerciale a questo farmaco. “Si tratta, precisa Bonini – della prima autorizzazione di un farmaco di terapia genica sui linfociti T autorizzato in Europa”.
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